Ogni anno nel mondo vengono buttate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, la lotta allo spreco diventa una priorità sia per le aziende che per i consumatori.
Le famiglie italiane hanno reagito alla crisi riducendo gli sprechi alimentari - e questa è certamente una buona notizia - ma la strada da fare è ancora lunga. E non solo nel Belpaese.
Che fine fa il cibo scaduto?
Il cibo scaduto che finisce nei cassonetti della spazzatura è infatti un problema in tutti i Paesi sviluppati sia dal punto di vista etico che ambientale ed economico.
I dati raccolti dall’Unione Europea delineano un quadro significativo: in Italia vengono sprecati 179 chilogrammi di cibo a persona, un dato in linea con la media continentale (173 kg) e comunque più vicino ai 72 chilogrammi della virtuosa Slovenia che ai 541 chilogrammi dei Paesi Bassi.
Chi spreca di più?
Non è tutta colpa del consumatore Non sono solo i consumatori a far finire il cibo nella spazzatura: l’11% viene perso da chi produce gli alimenti, il 19% da chi li trasforma, il 5% da chi li vende, il 12% dalla ristorazione e il restante 53% dai nuclei familiari, che sono dunque responsabile per circa metà degli sprechi totali.
A livello mondiale le cose non vanno meglio: circa un terzo del cibo prodotto viene perso o sprecato per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate, di cui 88 milioni di tonnellate sono a carico dell’Unione Europea. Questo significa che due dei sei miliardi di persone presenti sulla Terra potrebbero essere sfamate con gli alimenti che finiscono nel cestino della spazza- tura.
Si tratta di esercizio teorico, visto che annullare completamente gli sprechi è impossibile da un punto di vista pratico, ma che rende bene le dimensioni del problema.
Da un punto di vista economico la perdita che ogni famiglia deve sostenere a causa dello spreco di cibo è di circa 250 euro. A questa somma si devono poi aggiungere i costi ambientali. Secondo i calcoli della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ogni anno il cibo che viene prodotto, ma non consumato, utilizza quasi il 30% della superficie agricola mondiale - ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.
“Queste tendenze mettono un’inutile e insostenibile pressione sulle risorse naturali più importanti, e devono essere invertite - spiega il direttore generale della FAO, José Graziano da Silva - Tutti, agricoltori e pescatori, lavoratori nel settore alimentare e rivenditori, governi locali e nazionali e ogni singolo consumatore, devono apportare modifiche a ogni anello della catena alimentare per evitare che vi sia spreco di cibo e invece riutilizzare o riciclare laddove è possibile”.
La tecnologia a servizio della lotta agli sprechi
Un importante aiuto nella lotta agli sprechi potrebbe arrivare dalla tecnologia, e in particolar modo dalla Blockchain, l’architettura che sta alla base della moneta virtuale Bitcoin. A fare questa previsione è Ibm, il colosso statunitense secondo il quale una maggiore organizzazione nella filiera alimentare ridurrà significativamente il cibo comprato ma non consumato.
Grazie alla collaborazione tra dispositivi Internet of Things (IoT), blockchain e algoritmi di intelligenza artificiale, “ogni partecipante nella filiera saprà quanto piantare, ordinare e spedire”. Una lunga catena che unirà il frigo “intelligente” del consumatore che saprà quali alimenti mancano effettivamente e quali altri stanno per scadere con il contadino, anch’egli ovviamente “high-tech”.